Il Sovrappensiero è il libro che avrebbe potuto essere. Che mi piace immaginare di aver scritto. Che racconta della sua incompletezza. È il tentativo di elaborare un saggio di filosofia sociale, che sfocia nell’autobiografia romanzata e in un racconto del più e del meno che davvero improvvisamente si ricorda di tutto il dolore e della frustrazione che sopravviene quando non si riesce a fissare l’oggetto del proprio discorso. È l’affranto che vince sulla ragione che vuol disfarsi dei primi maldestri approcci ad un qualsiasi problema filosofico, che pure in quel momento pareva la suprema questione: è uno strano e inconsueto bisogno di testimoniare al mondo il modo intimissimo – e che in un primo tempo doveva assolutamente restare tale – con il quale abbiamo pensato il mondo stesso. Mettere a nudo gli errori e le grossolanità come atto di pura superbia, o perché non è rimasto altro da fare, gli «avrebbe potuto essere» sono andati, e così questo libro, che è anche una congerie di assurdità, un elenco di battutacce sottoproletarie, un racconto di periferia, una fenomenologia del delirio, una presa per i fondelli, una serie di opinioni non richieste, vada come vada, come si diceva ai tempi della scuola, quando c’era il compito in classe di italiano, e alla fine dell’ora si pensava di non essere riusciti a dire proprio tutto quello che si aveva in mente. Il tentativo fallito di dare un ordine logico al proprio pensiero. L’ipotesi che prende forma e si avvera.
Pagine | 471 |
Formato | [EU] Stampa bianco e nero - standard - 152x228 mm - Carta bianca - Copertina opaca |
Peso | 672 gr. |