Taranto anni 60-80, un ventennio che ha significato molto per una città che, come tutto il Paese, si accingeva al boom economico e alla ripresa dopo la depressione post-bellica. L’obiettivo della industrializzazione del Mezzogiorno partì dalla scelta di fare della città di Orazio e Virgilio, del capoluogo della cultura Magno Greca, la capitale europea dell’acciaio. Quanto questa sia stata una scelta giusta sarà la storia a dirlo, certo è che oggi molti tarantini non l’accettano più per l’aspetto più inquietante, le morti in aumento, soprattutto fra i bambini. Ma cosa accadde in quel ventennio? In questo romanzo autobiografico l’autore parla di quegli anni partendo dalla propria esperienza di vita. E cerca di dimostrare, raccontando episodi significativi, di come quell'intervento imposto dall'alto s’innervasse nei comportamenti dirigistici e autoreferenziali della politica cui tutto è dovuto, finendo per degradare la cultura, costringendo all'esodo gli operatori culturali, mentre dopo dieci anni di costruzione del più grande impianto siderurgico, restavano a terra migliaia di manovali e operai edili suscitando il più grande intervento assistenziale pubblico che dura ancora oggi e che ha prodotto degrado sociale. Un mix indigesto di cui la città paga ancora oggi le conseguenze. Ma il romanzo è anche un atto di amore verso la propria città che l’autore spera torni agli albori degli anni 70’ quando primeggiava nel Sud per consumo culturale di cinema, lirica, lettura, teatro.
Pagine | 142 |
Formato | [EU] Stampa bianco e nero - standard - 170x240 mm - Carta bianca - Copertina lucida |
Peso | 256 gr. |